Oggi venduta come prodotto dell’artigianato locale ed esibita nelle abitazioni come oggetto decorativo, la ljalka-motanka nella tradizione ucraina è in realtà portatrice di profondi significati simbolici. Colpisce il suo volto privo di occhi, contrassegnato da una croce. Si temeva che dagli occhi, finestre dell’anima, penetrassero nella bambola spiriti maligni e vi si insediassero, diventando costante minaccia per i membri della famiglia. La bambola doveva essere creata dall’inizio alla fine senza interruzioni, con animo scevro da emozioni negative. La sua gonna simboleggia la terra; la camicia rappresenta il tempo passato, presente e futuro; il ricamo e la collana portano ricchezza e prosperità; gli ornamenti del capo sono il legame con il cielo. La ljalka-motanka si tramandava in origine di madre in figlia, a garantire la continuità della stirpe, l’unità della famiglia. Era una sorta di divinità femminile protettrice, che stornava le forze malevole e propiziava i raccolti e le nascite. Reliquia pagana, fra le tante che ancora popolano le campagne ucraine, la ljalka-motanka incarna l’archetipo della Grande Madre, raffigurato fin dalla preistoria in incisioni rupestri e statuette di pietra, le celebri “veneri paleolitiche”. Grande Madre è prima di tutto la Dea Terra, con i suoi cicli di nascita, morte e resurrezione, nell’alternarsi delle stagioni. Simboli antichi si intrecciano nella vita dell’uomo e in quella della natura, in un equilibrio precario. Quando l’equilibrio si spezza l’inverno si allunga e la protezione diventa ostacolo e blocco, impedendo il cambiamento e la crescita, paralizzando la vita. La ljalka-motanka è fatta con paglia, fieno, stracci e nastri, senza l’uso di forbici o aghi, perché non deve assorbire dolore: potrebbe trasmetterlo a chi la possiede. Le madri la pongono accanto ai neonati nelle culle e la regalano alle figlie quando si sposano. Incanta e inquieta il volto senza occhi, contrassegnato da una croce. Nelle bambole pare riflettersi l’ambivalenza della Grande Madre, che rassicura e intimorisce, accoglie e divora. Le bambole possono anche suscitare disagio, un’ansia quasi impercettibile che talvolta si tramuta in fobia. Gli psichiatri le hanno persino dato un nome: pediofobia. Non sempre e non dovunque sono state anche o soltanto giocattoli; spesso sono state e sono oggetti magici e rituali, ritrovati in alcune sepolture e luoghi di culto. La bambola può spaventare perché somiglia a un essere umano ma non lo è. L’assenza degli occhi accentua la diversità nell’identità. La croce è anche simbolo cristiano, che sembra qui difendere da possessioni maligne un oggetto pagano. Forse la mancanza degli occhi ci disorienta perché ce ne ricorda la pericolosità: ci fa sentire esposti all’influsso di forze malvagie, che attraverso gli occhi possono entrarci nell’anima, per loro spontanea iniziativa oppure guidate da altri.
Marzo 2025
